Coronavirus, la scienza, la filosofia
Lo diceva sempre mia nonna: "In qualsiasi momento ti può cadere una tegola in testa". Quando ero piccolo, la sera, quando tutta la famiglia si ritrovava intorno ad un tavolo era una gran festa: "Siamo ancora tutti vivi". I miei erano appena usciti da una guerra, la vita per loro era anche fortuna. Avevano imparato che la vita la si vive ogni giorno, che è una continua emergenza, che è movimento, è mutamento, crescita e morte.
Ora io invece me sto stravaccato su una poltrona con in mano un telecomando, mi basta spingere un bottone che tutto si risolve, tutto mi è dovuto, tutto è garantito. E se qualcosa viene a rompere questo equilibrio, mi incazzo, e devo dare la colpa a qualcosa o a qualcuno, ho bisogno di un capro espiatorio per tutto quello che non va, che non è mai colpa mia. Quello che non va è che non ho voglia né forza di alzarmi, muovere la chiappe e aprire la finestra, per ascoltare l'aria nuova che tira, per osservare nuovi orizzonti.
Adesso c'è questo Coronavirus, in fondo non è altro che un virus in mutamento. È naturale che se la vita è mutamento anche un virus per sopravvivere sia indotto a mutare. E ognuno muta come può. Io ad esempio che sono un uomo non posso che mutare secondo una mia struttura, non potrei certo volare come un'aquila, semmai potrei perdere la coda che mi resta. Il problema allora non è il virus che muta, il problema vero sono io che non ho assolutamente intenzione di mutare. Atteggiamento, comportamento, habitat culturale, malgrado che questa mia cultura in un secolo sia riuscita a produrre le più grandi atrocità di tutti i tempi, arrivando persino a distruggere la terra stessa. Mi sto preoccupando per un virus mentre in Antartide ci sono 20 gradi, mentre l'Australia brucia, quando sui monti non c'è un briciolo di neve.
E meno mane che c'è il virus, che è un pericolo veramente serio, almeno so con chi prendermela, posso continuare a chiudere gli occhi e restare immobile con il telecomando in mano. Ed io con voi. Non è il virus a farci implodere, è che noi già siamo implosi. Abbiamo terrore di una linea di febbre a 37° quando è semplicemente sintomo che il nostro corpo si sta adattando. Allora subito Tachipirina, non dobbiamo permettere che una nostra cellula si adatti al cambiamento. La vita non è un App.
Ma io sto tranquillo, tutto bene, non poteva andarci meglio. Ci ritroveremo a dover ricostruire tutto da capo come dopo una guerra, ma almeno non ci sono state le bombe atomiche. Devo ricominciare da mia nonna... «Oscar, vieni qui. Fai vedere le mani. Come te le sei lavate! Guarda sotto le unghie. Pulisci bene tra le dita.» Orsù: a questo punto sono arrivato, non c'è purtroppo un app che mi lavi le mani senza fatica, nemmeno con l'amuchina, mi spiace. Se voglio cambiare il mondo devo cominciare a muovere le chiappe. La vita è così.
Concludo il mio outing: La nostra cultura è implosa non per colpa del coronavirus, è già implosa per cazzi suoi. Ed io sono peggio di un virus, ma senza nemmeno una corona.
Oscar Brilli
3 marzo 2020